Secondo alcune indagini di mercato svolte negli ultimi anni è emerso che il consumatore medio, di fronte a una sempre più ricca offerta di bottiglie di vino esposte sugli scaffali dei supermercati, se sprovvisto di quelle competenze necessarie per distinguere un prodotto di qualità da un altro, sceglie in base alla confezione. Bottiglia, etichetta, colore, informazioni. Non soltanto, dunque, il Sig. Mario Rossi si ferma all’apparenza ma se ne lascia anche influenzare, ovviamente a livello inconscio.
Una delle caratteristiche che viene presa in considerazione, nel momento in cui si deve procedere all’acquisto di una bottiglia di vino, è il grado alcolico. Questo vale soprattutto quando si osserva il target dei più giovani che interpretano un alto valore come un’alta probabilità di potersi “divertire” (con il rischio di rimanere delusi proprio perché comprendere un’etichetta di vino richiede pur sempre un minimo di nozioni).
Ma cosa significa esattamente il numero che precede il simbolo “%” in etichetta?
Il grado alcolico: definizione
Il grado alcolico rappresenta il volume di alcol, espresso in millilitri, contenuto in un decilitro di una determinata bevanda. Chiamato anche tasso alcolimetrico, rappresenta il numero di parti in volume di alcol puro contenute in 100 parti in volume del prodotto, alla temperatura di 20 °C. Proprio per questo si esprime in un numero seguito da “%Vol”.
Il grado alcolico: gusto
Dopo averlo letto e compreso, vediamo come gustarlo. L’alcol, al palato, dona immediatamente una sensazione di calore che esalta la morbidezza del vino. Se il vino è ben equilibrato, il sentore è quello di calore avvolgente, armonioso e ben integrato sia con la struttura che con il corpo della bevanda stessa.
È necessario tenere a mente che la percezione immediata dell’alcol al palato dipende da quanto la componente alcolica è in equilibrio con le altre componenti del vino e non dal valore alto in sé del titolo alcolometrico. Questo significa che ci sono vini i quali, nonostante abbiano un tasso relativamente alto come il 13%, quando degustati non appaiono “alcolici” in quanto l’acidità, la struttura, il corpo e i tannini sono perfettamente equilibrati.
Il grado alcolico fa 13: due esempi made in Puglia e Abruzzo
È il caso del Terre del Crifo Nero di Troia il vino rosso di Puglia per antonomasia. Terzo baluardo vinicolo della regione, viene prodotto sulle colline calcaree della Murgia dalle migliori uve di uno dei vigneti locali più robusti e caratteristici della zona. Con il suo colore rosso intenso si presenta con un grado alcolico del 13%, perfetto per una cena con gli amici a base di carne alla brace abbinata ai sapori d’autunno.
Un vino dalle caratteristiche simili è sicuramente il Montepulciano d’Abruzzo DOC. Con quel suo gusto equilibrato, una leggera sensazione di tabacco e un grado alcolico mediamente del 13%, al palato si presenta equilibrato, grazie alla sua trama tannica pronunciata ma allo stesso tempo armonica. Anche questo rosso si abbina molto bene alla carne rossa e ai formaggi stagionati e salati, perfetto per i periodi freddi.
Il grado alcolico: la evoluzioni in ambito UE tra vil commercio e salutismo
Nonostante il grado alcolico sia uno dei protagonisti del meraviglioso “equilibrio” di caratteristiche che dà vita ai migliori vini, dal documento circolato a metà 2021 presso il Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura dell’Unione Europea sembra che esistano ragioni di commercio internazionale e tutela della salute che potrebbero prevalere sulla cultura enologica come oggi la conosciamo. In esso, infatti, emergono due proposte che Coldiretti ha immediatamente denunciato: la prima prevede la possibilità di dealcolare il vino (i.e. abbattere in toto o in parte il contenuto di alcol) per filtrazione meccanica, la seconda di aggiungere acqua – sì, acqua – al vino.
Per quanto l’iter burocratico sia ancora in alto mare, i timori di una evoluzione “zero alcol” sono sicuramente più probabili per la categoria dei vini da tavola. A tutela degli amanti del vino di qualità, infatti, in Europa c’è la “rete di sicurezza” delle denominazioni d’origine dei vini i cui disciplinari, giustamente rigidi, al momento prevendono un titolo alcolometrico minimo sotto del quale quel determinato vino non può fregiarsi della sua specifica denominazione.